Perchè non possiamo chiamarlo solo maltempo

[da “La causa del secolo” a cura di Marica Di Pierri]

In un modo o nell’altro, tutti dovremo fare i conti con le mutazioni climatiche. E in realtà li stiamo già facendo anche qui da noi, come testimoniano numerosi studi prodotti da diverse istituzioni del nostro paese.
Dal punto di vista climatico, l’Italia è un territorio particolarmente
vulnerabile che sta già pagando un conto altissimo, destinato a diventare ancora più salato: la sua posizione di penisola nel cuore del mar Mediterraneo si traduce in fragilità strutturali che interessano l’intero territorio nazionale. Secondo il Climate Risk Index 2020, pubblicato annualmente dalla Ong tedesca Germanwatch, l’Italia si classifica al 21°posto a livello globale per impatti da eventi climatici estremi nel 2018,
al 28°per numero di morti causati dalle conseguenze di tali eventi, mentre per quanti riguarda le perdite economiche è all’8°posto per perdite in milioni di dollari (valore assoluto per persona) riferibili a disastri ambientali e al 27°per perdite del Pil.

Prendendo in considerazione il periodo 2000-2019, l’Italia è al 22°posto per vulnerabilità climatica, ma sale addirittura al 6°per numero di morti registrati2. Calcolando che l’indice misura gli impatti climatici su più di centottanta paesi, il rank del nostro paese rivela la straordinaria vulnerabilità che ne caratterizza il territorio e il livello di minaccia in cui essa di traduce per il godimento dei diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita.
Nel nostro paese, gli impatti più rilevanti previsti per i prossimi
decenni sono connessi alla diminuzione delle precipitazioni nel periodo estivo (in particolare nel Centro e Sud Italia), all’aumento delle precipitazioni nel periodo invernale nel Nord Italia, e alla maggiore frequenza degli eventi meteorologici estremi, per non parlare dello straordinario aumento delle temperature, soprattutto nelle stagioni estive.

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