DANIELA MARCONE, ESEMPIO DI MIO PADRE UTILE PER QUESTI TEMPI BUI

Quando fu ucciso mio padre, Francesco Marcone, il 31 marzo del 1995, non avevo idea che a Foggia, la città in cui vivevamo, ci fosse un’organizzazione criminale di stampo mafioso già radicata e attiva. Eppure, proprio nei ressi della città di Foggia si era svolto, nel 1979, un incontro che segnò una svolta per le organizzazioni mafiose pugliesi, tra Raffaele Cutolo, noto boss campano e criminali locali, al fine di suggellare un’affiliazione che avrebbe dovuto portare alla nascita della Nuova Camorra pugliese. Questa nuova realtà non durò molto, anche a causa del declino di Cutolo e per le “istanze” autonomiste delle organizzazioni pugliesi che mal sopportavano il controllo dei campani. Anche nella mia città, la mafia si organizzò in autonomia e già nel 1986 una cruenta guerra che culminò nella “strage del Bacardi”, mostrò chiaramente la capacità di espansione economica, in particolare nel controllo dello spaccio della droga. Dalla droga al racket delle estorsioni il passo fu breve e negli anni novanta la mafia foggiana alzò il tiro,  eliminando fisicamente anche chi, fuori dagli ambienti mafiosi, con il proprio rifiuto di pagare il “pizzo” o con la propria attività lavorativa creava un ostacolo all’ascesa criminale.

Mio padre si ritrovò, con il suo ruolo di direttore in un ufficio pubblico da cui passavano atti legati ad una tra le attività economiche maggiormente fiorenti di quegli anni, quella edilizia, a controllare e denunciare truffe ai danni dello Stato, che rappresentava nel suo impegno lavorativo quotidiano, contrastando gli interessi della criminalità. Ecco perché fu ucciso.

E quando la sera di quel 31 marzo del 1995, uno dei poliziotti arrivati a casa nostra, mi disse che dovevo essere “forte” perchè mio padre era stato ucciso dalla mafia, io pensai fosse una cosa folle da dire.
Cosa c’entrava la mafia con mio padre e con noi? Poi, nei mesi successivi iniziai a leggere tutte le notizie della cronaca locale che segnalava le aggressioni continue alla comunità cittadina da parte della mala organizzata, comprendendo per la prima volta che la mafia non esisteva solo in Sicilia e che quegli episodi che parevano scollegati tra loro tracciavano invece una linea che spesso si tingeva di rosso a causa del sangue versato. Scoppiarono altre guerre di mafia e il fatto che nella mattanza che ne seguiva finivano coinvolti appartenenti alle famiglie mafiose, i cui nomi avevo imparato a riconoscere, non mi tranquillizzava, anzi era come un continuo allarme che cercavo di imprimere nella determinazione per la richiesta di verità e giustizia sulla morte di mio padre, provando sempre più sconcerto e amarezza per la mancanza di attenzione nazionale su quanto accadeva intorno a noi, terra di mafia “emergente” che veniva letta dalla stampa nazionale come singole incursioni di criminali primitivi e male organizzati.

Sono trascorsi venticinque anni dalla morte di Francesco Marcone, Franco per gli amici, e le mafie del foggiano, perché nella provincia si contano almeno quattro organizzazioni distinte e talvolta in affari tra loro, si sono fatte conoscere sempre più per efferatezza e violenza di metodi attraverso i
quali sono riuscite a penetrare nel tessuto economico e sociale della provincia di Foggia, la seconda dell’Italia per estensione: un boccone ghiotto. Ma è stato necessario che commettessero una vera e propria strage perché l’attenzione dei vertici dello Stato e della stampa nazionale fosse destata, a San Marco in Lamis (FG) il 9 agosto 2017, in cui sono state uccise quattro persone tra cui due agricoltori innocenti, i fratelli Luciani. All’indomani della strage, si parlò di mafie emergenti del foggiano, ma io ero ben consapevole che non c’era nulla di emergente, trattandosi invece di una crescita esponenziale che la sottovalutazione non aveva certo frenato.

Quanto è accaduto a mio padre, e alla mia famiglia, ha una cifra narrativa precisa, che oggi mi permette di leggere quanto sta accadendo intorno a noi provando un’urgenza forte, quella di proseguire nella costruzione di una
memoria sulle vittime innocenti delle mafie, le cui storie, contestualizzate con cura, ci hanno evidenziato negli anni una presenza mafiosa proprio lì dove non te lo immagini, al nord ad esempio, ma anche, appunto, nella mia terra.

L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha determinato una vera e propria emergenza economica ed il timore, evidenziato da più parti, che le mafie si insinuino ancora più profondamente negli snodi economici del Paese, costituisce un pungolo forte affinché ognuno faccia la sua parte in
questo momento, seppur complesso per tutti. Una complessità che proprio la capacità di ricordare e fare memoria sono, in questi tempi che rischiano di essere assai bui, tra gli strumenti più efficaci per comprendere la realtà odierna, rendendo il passato materia viva che ha grande valenza nell’oggi.