Mi dispiace, ragazzi

[di Gianluca Ales, autore “Il club degli ultimi“]

No, non è andato tutto bene. Per niente.

Rieccoci qui, a interpretare cartine dai colori inquietanti, che circoscrivono il perimetro delle nostre libertà, a stamparci moduli, a uscire con l’ansia delle autocertificazioni, ad aspettare con morbosa trepidazione il bollettino quotidiano. A riflettere su numeri e dati che ci confondono. Rieccoci con gli esperti a spiegarci quello neanche loro riescono a capire.

Ma soprattutto rieccovi, bersaglio di noi “vecchi” (cioè al di sopra dei 30, 35 anni), a sorbirvi le nostre ansie, i nostri pipponi accusatori, l’indice puntato (a volte neanche in senso figurato) ad appiccicarvi addosso l’etichetta di untori.

Mi dispiace, davvero.

Perché, al netto dei soliti imbecilli (di tutte le età), io ho visto altro.

Vi ho visti: vi siete richiusi diligentemente nelle vostre stanzette, estenuati con la DAD, ormai rassegnarti a passare questo anno, importantissimo, chiusi tra le quattro mura di casa. Un tempo in cui, invece, quelle mura avreste voluto abbatterle, uscire, scontrarvi con la vita, chiedere i vostri spazi libertà, litigare per la vostra indipendenza.

Eccovi qui, costretti a rinunciare a quelle esperienze che tutti noi, alla vostra età, abbiamo già vissuto, e ci hanno fatto diventare quello che siamo. I primi amori, i primi baci, le prime delusioni, i primi incontri. Le amicizie che ci siamo portati dietro per tutta la vita. Le confidenze, le scoperte, gli scontri, le passioni, le fughe, gli incontri clandestini, le prime ribellioni che ci hanno fatto crescere. E sì, anche i primi sbagli: le prime sigarette, la prima sbronza, le prime scoperte proibite che non si possono confessare ai genitori.

La verità è che non è andata bene e, se ci fosse un minimo di onestà intellettuale, si dovrebbe ammettere che nessuno può dire come andrà. Di certo non possiamo dirvelo noi adulti, che con sufficienza continuiamo a ripetere che un anno alla vostra età si recupera. Che in fondo si tratta solo di una pausa, di una lunga vacanza, ché tanto la DAD mica è scuola, che magari avessimo avuto noi l’opportunità di non fare niente per un anno.

Non è così. Non ci cascate. Arrabbiatevi: perché i vostri 15, 16, 17 anni non valgono i nostri 40, 50 o chissà che altro. Alla nostra età ogni anno è uguale a sé stesso. Alla vostra, no.

E allora che dirvi, se non: scusateci, se potete.

Perché non abbiamo protetto voi, non abbiamo protetto il vostro tempo e abbiamo pensato solo al nostro, che ci sembrava più importante perché noi eravamo impegnati. Mica come voi che trascorrete intere giornate con la testa china su tablet e telefonino a vivere una vita virtuale. In fondo cosa cambia? Siete già chiusi dentro mura fatte di schermi e tastiere, con le vostre protesi digitali sempre in mano e sulle orecchie.

E invece no, cambia. Eccome se cambia.

Perché voi – esattamente come noi in un’epoca che non ricordiamo più – avete fame del reale, di tutto quello che colpisce, graffia, ferisce e fa male. Avete smania, covate rabbia, non controllate quella terribile frenesia che vi aggredisce all’improvviso. Perché con la vita volete scontrarvici, cercare di domarla, o anche semplicemente di assaggiarla

Ed è per questo che in classe ci siete andati con le mascherine, vi siete sottoposti a sfiancanti procedure per la sanificazione, avete accettato – di malagrazia, certo, e ci mancherebbe il contrario – di mortificare la vostra socialità, fino a trovarvi ancora chiusi in quella cameretta.

Mi dispiace perché – diciamocelo francamente – è solo colpa nostra.

Non abbiamo creato il virus, certo. Oddio, almeno speriamo di no. Ma certo abbiamo creato le condizioni della catastrofe. Non abbiamo ascoltato gli allarmi degli scienziati, non ci siamo preoccupati del futuro, nostro e soprattutto vostro, non ci siamo fermati quando era ovvio che stavamo andando a scontrarci contro un muro.

Se potete perdonateci, anche se so che è difficile.

Una volta diventati adulti non abbiamo fatto altro che ripetere gli schemi di chi ci aveva preceduto, nell’ottusa convinzione che tutto fosse ineluttabile, perché non avevamo la forza, la capacità, la determinazione. Mentre invece era solo la mancanza di coraggio e la paura di cambiare: siamo stati pigri, vigliacchi e incapaci. Soprattutto, non siamo stati in grado di esprimere una classe dirigente all’altezza. Che fosse in grado di dirigerci, di guidarci, di informarci. E soprattutto di proteggere voi e il vostro prezioso tempo di vivere.

Ho letto spesso che siete la prima generazione ad avere aspettative inferiori rispetto alla precedente. Che siete già sconfitti. Che siete deboli, demotivati, viziati, apatici, ignoranti e pigri. Lo diciamo noi, giudicando voi senza giudicare noi stessi e quello che vi stiamo lasciando.

Voi, invece, neanche ci rispondete, e forse fate bene.

Abbiamo avuto la pretesa di voler fare i perfetti genitori, di pensare che bastasse seguire le regole sui manuali di pedagogia per aiutarvi a riempire il vostro tempo. Sport, musica, teatro, gli amici da frequentare, Abbiamo scelto quasi tutto noi per non farvi inciampare, non vedere le sbucciature sulle ginocchia che a noi facevano ancora male. Solo che adesso non c’è nessun manuale che ci dice come affrontare quello che sta succedendo e non sappiamo più come proteggere voi e il vostro tempo prezioso, che prima vi abbiamo svuotato e ora vi stiamo togliendo.

Soprattutto, non vi abbiamo ascoltato. Perché la verità è che eravamo troppo presi – noi sì, davvero patetici – con il cellulare, il tablet, la tv satellitare, a riempire il vuoto delle nostre esistenze. Allora meglio tenervi chiusi in casa, no? Meglio vedervi anestetizzati alla sofferenza, coccolati da un’idea di mondo inesistente.

Ma poi, per citare un film bellissimo e un po’ misconosciuto (“Spiriti nelle Tenebre”), sapete che cosa è successo? Siete cresciuti. E tutto questo vi sta stretto. Eppure, ora siete costretti a pagare per i nostri errori. Siete obbligati ad aspettare, rispettando le regole, che vi sia nuovamente permesso di vivere la vostra vita.

Tutto questo passerà, sicuro.

E una volta gettate le mascherine, dimenticato il gel alcolico (ma vi siete resi conto quanto fa puzzare le mani, e come restano scivolose? Bleah!), stracciate tutte le autorizzazioni, dimenticate la paura.

Riprendete il vostro tempo. Scendete in strada, e non tornate più indietro.

Leggi il libro di Gianluca Ales "Il club degli ultimi"