ANTEPRIMA|”MASCHILE SINGOLARE”

Maschile Singolare di Giorgia D’Errico nasce con l’idea di proseguire le storie del precedente libro, Femminile Plurale, questa volta viste attraverso il punto di vista maschile. Dieci storie di uomini che raccontano la loro vita da reporter, professore precario, regista, imprenditore, vigile del fuoco e operaio.
Ognuno di loro prova a spiegare quanto sia cambiato il rapporto con il mondo femminile, quanto per loro molte diversità siano superate o non vogliono che si superino. Il loro rapporto con i figli, con le compagne, i compagni, le ex mogli e le famiglie. Le difficoltà di accesso al mondo del lavoro, che spesso non hanno differenza di genere ma molte volte invece esistono.
Sono dialoghi aperti, complessi e spesso emotivamente coinvolgenti che portano a vedere la realtà con gli occhi del maschi le per provare a comprendere il femminile.

Di seguito un estratto del libro:

Gigi, scultore 3D

La chiacchierata con Gigi, del quale mi ha parlato un amico comune, avviene via Skype. Per lui è assolutamente normale perché sono anni che lavora da casa e soprattutto che fa incontri o riunioni in videocall.
“Vuoi sapere che lavoro faccio?” chiede lui a me. “Sarebbe più semplice spiegartelo se vivessimo in un altro Paese perché, in Italia, la parola ‘artista’ viene associata a ‘fankazzista’, quindi preferisco definirmi un artigiano perché più si avvicina ai nostri stereotipi”.
Gigi scolpisce soldatini in 3D e lavora con aziende straniere che producono giochi di società.
“Sono tornato a fare quello che facevo da ragazzino a 17 anni perché arrivato ai 38 mi sono dovuto inventare nuovamente un lavoro. Ho iniziato disegnando le sorpresine per la Kinder, un’attività che poi si è rivelata piuttosto ripetitiva, e da lì a poco mi sono ritrovato a fare lo scultore in 3D. Ed è stato tutto assolutamente casuale, ho risposto cioè a una call su un sito”.
Cerco di capire per che tipo di aziende lavori e, per spiegarmi meglio, mi cita la Games Workshop, che è britannica e che, per esempio, durante il lockdown è cresciuta del 115%.
“Le offerte di lavoro si cercano sulle piattaforme specializzate e io lavoro a tempo indeterminato. Abbiamo firmato un contratto in cui si impegnano a fornirmi il lavoro. Un primo problema naturalmente è emerso quando ho dovuto aprire la partita iva italiana perché per un’azienda straniera è molto difficile assumere un lavoratore italiano”.
Gigi lavora per un’azienda full-time ma ha la possibilità anche di prendere lavori extra.
“Il mio è un lavoro che richiede del tempo ed è per questo che anche la mia retribuzione viene calcolata a seconda di ciò che faccio e delle ore lavorate. È ovvio che più diventi bravo e veloce e più guadagni. Io disegno i personaggi dei war game tridimensionali che poi vengono materialmente prodotti in Cina. Questo prevede che si lavori pensando a preparare il proprio prodotto con l’idea di chi poi dovrà arrivare dopo di me
nella ‘catena produttiva’”.
Capisco che questo sia un modo di lavorare che ben conoscono gli americani e gli inglesi.
“Sono loro che per forma mentis concepiscono tutto il processo di lavorazione ‘per caselle’”.
Cerco di capire a questo punto quale sia stata la sua formazione e mi dice di aver fatto il liceo classico e poi Archeologia. Veniamo interrotti, come spesso accade nelle videocall, dall’arrivo della sua bambina, che si presenta e scambia qualche chiacchiera con me.
Ne approfittio per chiedere a Gigi del suo impegno di papà e mi racconta che, avendo scelto di lavorare da casa, si occupa molto della sua bambina e che i compiti con la compagna sono equamente distribuiti.
“Penso si tratti soprattutto di collaborare e non di addossarsi da soli la gestione familiare. Mi rendo conto che per noi si è trattata di una cosa che abbiamo gestito negli anni. Il fatto che io sia sempre a casa ogni tanto mi pesa e costringe a volte anche me a dire: ‘Devo finire un lavoro’. Serve assolutamente mediare perché la costante presenza in casa può avere assolutamente le sue criticità. Sono cresciuto in una famiglia atipica e anche per questo che la scelta di lavorare da casa per me non ha nessuna straordinarietà”.
Gli chiedo di soffermarsi un po’ sul suo contesto familiare di origine perché, come sappiamo, è lì che nascono i modelli.
“Mia mamma è diventata dirigente Fiat prima di compiere 40 anni, credo sia stata la prima nella storia della fabbrica, ma quando avevo 13 anni è mancata a causa della leucemia. Mio padre invece era un operaio e lavorava in un’officina metalmeccanica e per lui questa differenza da mia madre non è mai stata un problema. A casa nostra tutti facevano tutto. Ricordo mia madre, donna in carriera, che passava la domenica a cucire. Quando cresci con questi esempi, le differenze non esistono. Si collabora e basta”.
Capisco che anche il concetto di dedizione al lavoro arrivi dalla sua famiglia e che è una caratteristica che ritrova nella sua attività professionale, ma solo perché ha a che fare con l’estero.
“I miei datori di lavoro, se mi chiedono più lavoro, me lo pagano, così come viene retribuito il carattere di urgenza. Il concetto di costo del lavoro è assolutamente fondamentale e noi in Italia, sotto questo aspetto, paghiamo il fatto che non abbiamo manager e, se li abbiamo, raramente sono in grado di progettare il lavoro”.
Gli italiani, mi ricorda Gigi, sono famosi perché sono soliti lavorare tanto ma con indici di produttività molto bassi.
“Io lavoro con l’estero. Mediamente le ditte italiane, dopo aver ricevuto il preventivo, scompaiono. L’unica ad avermi fatto una proposta seria è un’azienda medica di Milano che fa ricostruzioni anatomiche”.
Gli chiedo di approfondire l’evoluzione della sua attività professionale perché anche io so molto poco di questi nuovi lavori.
“Sta emergendo una nuova scultura digitale. Ora vi è una diffusione dei ‘mass market’ e all’inizio sono sempre tutti molto sospettosi, come avvenne anche quando arrivammo all’illustrazione digitale. In entrambi i casi stiamo parlando di una forma artistica o espressiva. Il digitale non è un fine ma uno strumento.
“Nel nostro Paese”, prosegue, “manca la possibilità di cambiare lavoro facilmente. Ci spendiamo tanto su costo del lavoro e tutele. In un mercato del lavoro più ricco è l’azienda che chiede di me, non io che mi attacco alla scrivania. È difficile creare lavoro se la figura dell’imprenditore è una figura negativa”.
A questo punto Gigi si apre ancora un po’ e mi racconta di aver fatto diversi lavori come il manovale o il cameriere per pagarsi gli studi. Ha voluto poi puntare al lavoro pagato meglio come il carrellista, cosa che gli ha poi dato la possibilità di imparare a utilizzare il muletto.
“Sono convinto che bisogna dare più strumenti per essere più appetibili sul mercato ma bisognerebbe per esempio cominciare dall’istruzione tecnica, fare in modo che sia sempre più specialistica e che possa garantire la gestione della propria carriera lavorativa. Nel nostro Paese, il 90% dell’industria è a carattere familiare e spesso diventa il simbolo del Made in Italy. Mi permetto di aggiungere che il Made in Italy funzionava perché era la versione di lusso della Cina, ma siamo diventati costosi rispetto ai colleghi esteri quindi, se davvero vogliamo difendere l’italianità e il design italiano, occorre considerare tutto il mercato del lavoro”.
Cosa dobbiamo augurarci a questo punto, gli chiedo.
“Dobbiamo cambiare schema mentale quando pensiamo al futuro dei nostri figli. Ho una bimba di 10 anni che hai intravisto nel corso del nostro collegamento. È portata per la musica e per lei sogno di poterla mandare a studiare a New York quello che ama e le riesce meglio”.